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Io ci sono

“Nessuno può distruggere una persona aggredendo il suo aspetto esteriore”, questo è quello che dice il Califfo (soprannome che lei dà al dottore che la segue durante il trascorso) a Lucia, appena si risveglia, appena dopo l’avvenimento del disastro.

Lo spettacolo si apre IN MEDIAS RES con lei che, ancora con le bende sul volto, si dispera e quasi delira; le scene successive sono un alternarsi tra flashback e ordine cronologico che, nonostante questa apparente “discontinuità” rendono la comprensione lineare. Apprezzabile è vedere come Lucia, nonostante l’evidente tragicità dell’evento, riesca comunque a trarre la forza necessaria per rialzarsi, proprio da quella disgrazia, un elogio va davvero alla tenacia di Lucia Annibali.

Chi sale sul palco con Alice Spisa è (in questa particolare situazione) proprio Andrea Bruno Savelli, il regista stesso, aggiungendo sicuramente un plusvalore a livello interpretativo; si ha poi l’impressione che i due attori si comincino a conoscere proprio sul palco, e a fare da contorno alla loro performance si ha un veritiero gioco di luci che, quando deve, bene rende l’effettiva cecità di Lucia causata dall’acido.

Venire a conoscenza di una storia come questa fa certamente alzare dalla poltrona con un particolare connubio di sensazioni che vanno dall’angoscia e la disperazione causate dall’impotenza di lei, vittima di una circostanza totalmente inaspettata, fino ad arrivare al sentimento di forza ed orgoglio di questa donna forte che urla coraggio a gran voce.

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