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La Classe Operaia va in Paradiso

Non esiste più la classe operaia, o meglio, esiste ma non si chiama più così. Il settore terziario ha sostituito quello manifatturiero, frase ripetuta continuamente e ovunque: nelle scuole, nei telegiornali, nei giornali, alla radio, nei film, ma ciò non implica che le persone non siano più viste come olio per gli ingranaggi della macchina capitalista. Ma quando ce ne accorgeremo?

La Classe operaia va in paradiso è per questo più attuale che mai, ci dà un calcio nel sedere così forte che è difficile non accorgersi di quanto la memoria delle persone sia volatile, quindi oggetto di speculazione.

È da considerare il fatto che sia un adattamento teatrale di un film che già ai tempi della sua uscita negli anni Settanta ha visto molte critiche scagliarsi contro e a favore, in cui si sente molto la presenza di Sinistra e Destra come poli opposti ma in costante attrito, perciò parliamo di un’opera che nel suo complesso scuote sempre e molto gli animi delle persone; è nudo, descrive esattamente come vanno le cose, magari estremizzando alcuni comportamenti ma riuscendo ad avere equilibrio con la realtà. Come quando ad un telaio si mette un filo di un colore diverso dal solito, il prodotto sarà di una sfumatura diversa dagli altri, ma la grandezza e le trame del tessuto saranno le stesse. Tessuto particolarmente ben filato da Lino Guanciale (Lulù) e da tutta la compagnia, che trasmettono davvero una grande energia dentro e fuori dal palco. Infatti, e lo considero un grande merito, qualcuno ha abbandonato il suo posto a teatro a seguito di qualche scena spinta, o forse scomoda. La messa in scena in effetti “non è normale”, parlasi infatti di meta-teatro, ovviamente riprende la trama del film, ma non si limita a riproporla sul palco, vuole circondarla, metterla alle strette, discuterla; tante sono le volte che gli attori si spostano nella platea, e la sensazione è quella che l’intera rappresentazione avvenga in quattro dimensioni, che sfori non solo nello spazio, usando tutto il teatro, ma anche nel tempo, sentendosi un proletario nel 1970, ma allo stesso tempo un precario del 2018, chiedendosi cosa saremo nel futuro. Touché.

Fra le risate intelligenti per le canzoni di Simone Tangolo e gli attori che interpretano la platea, le due ore e mezza abbondanti di spettacolo sono quasi insufficienti a scaricare tutta l’adrenalina che lo stesso spettacolo produce.

Da un punto di vista puramente tecnico, La scena è quasi minimale ma curata al dettaglio, con un nastro trasportatore che muove le fila dello spettacolo. Inoltre sono quasi magici i giochi di luce che sfruttano i vari livelli di trasparenza ottenuti dai pannelli appesi al graticcio, e la scena finale… bè guardatelo.

Punti a sfavore possono presentarsi solo nel caso si comprino i posti in terza galleria.

Non molto adatto a bambini e bambinoni, per il resto invece è un must.

Se vuoi puoi leggere anche la poesia che ho dedicato alla storia di Lulù cliccando qui.

3 Commenti

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    Letizia Vercellino

    Mi piace la tua recensione Matteo…Non farò commenti sullo spettacolo che andrò a vedere per la seconda volta e con l’intento di vederlo ancora per le tante sfaccettature che offre e dunque apprezzabile ogni volta di più. Mi complimento con te, per la tua scrittura e le tue passioni, per i tuoi soli vent’anni che però ti portano a descrivere il teatro così “stare a teatro è come avere un piccolo sole in ogni gocciolina di pioggia”. Ti seguirò perché prometti bene 😉 Grazie. Letizia

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    • Matteo

      Matteo

      Grazie Letizia per le tue parole, ci impegniamo moltissimo affinché non sia solo un esercizio di stile ma ci siano dei veri e propri contenuti e soprattutto che i ragazzi si interessino a questo mondo.
      A presto.

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