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Quando la musica supera il musicista

Concerto dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI

Questa sarà una recensione un po’ fuori dagli standard, non parlerò solo dello spettacolo in sé, ma vi spiegherò anche quali sensazioni ho provato al di fuori dell’esibizione stando a teatro.
Premetto di non essere un esperto di musica classica ma essendo musicista spesso mi concedo le poesie melodiche di Chopin, Mozart, Beethoven e Schubert, perciò la mia recensione non sarà tecnica quanto invece emozionale.

Partiamo dal concerto.
L’introduzione è stata guidata da Oreste Bossini, musicista e giornalista rinomato nell’ambiente musicale, che ha spiegato in modo breve ma esauriente le opere di Debussy e di Chopin che poi sono state eseguite dall’orchestra. Purtroppo non ha parlato di Bartòk, che ha occupato comunque un’ora di spettacolo, perciò si sarebbe meritato anche lui almeno due parole di presentazione.
Michel Tabachnik, importante direttore d’orchestra a livello internazionale, ha condotto l’intero spettacolo in modo maestoso, tanto che i miei occhi si posavano più sui suoi gesti che sugli strumentisti, e non perchè non sapessi cosa stesse facendo, ma perché affascinato dall’armonia che trasmettevano.
L’orchestra è indiscutibile, composta da musicisti eccellenti, e non potrebbe essere altrimenti vista la sua importanza anche a livello Europeo. Per chi non lo sapesse per entrare a far parte dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai è necessario vincere un vero e proprio concorso, al quale partecipano tantissimi artisti.
Durante il Prélude à l’après-midi d’un faune di Debussy, ciò che Bossini ha esposto nelle anticipazioni ha preso colore, quello di un incontro amoroso delicato, profondo e stravagante vissuto su di un filo appeso nel vuoto ma con un inimmaginabile perenne equilibrio conferito dal flauto traverso, protagonista dell’opera, che sinceramente sono riuscito a identificare solo grazie ai consigli della signora seduta alla mia destra in platea, ma di ciò come ho detto parlerò dopo.


Ha seguito l’ingresso in scena di Jan Lisiecki, giovanissimo pianista considerato un prodigio dalla critica musicale mondiale, che ha eseguito insieme all’orchestra il Concerto n. 2 in Fa minore op. 21, appositamente studiato per pianoforte e orchestra. L’artista ha soddisfatto le aspettative di tutti, talvolta anche i musicisti dell’orchestra hanno sollevato un occhio dallo spartito per indirizzarlo al giovane Jan, che attraverso le dita e i suoi movimenti, sembrava raccontare il racconto di Chopin. Il concerto in questione infatti, come spiegato da Bossini, è un racconto musicale in cui Chopin parla della sua musa, una cantante di Varsavia, a cui riserva temi intimi, dolci e a tratti malinconici.


Dopo i venti minuti di applausi a Jan, si fa per dire, il concerto è proseguito con il Concerto per orchestra sz. 116 di Béla Bartòk. Concerto decisamente vivace, non annoia, anzi regala qualche brivido soprattutto nella sezione elegia che ho personalmente trovato più intensa rispetto a tutti gli altri brani, a esclusione del finale in cui il componimento diventa solenne, come è solito nelle grandi opere classiche. Non avendo avuto informazioni sull’autore e sull’opera ho successivamente ricercato qualche nozione in merito e ho scoperto che Bartòk scrisse l’opera in un momento travagliato della sua vita, tra malattia ed esilio. Perciò mi sono maggiormente reso conto della forza morale di quest’opera e dello stesso compositore, nonostante la critica non la consideri molto coerente con il suo stile di scrittura. Informazioni che purtroppo sono mancate e che per il pubblico medio sono indispensabili per l’ascolto e l’interpretazione dei brani.
Concludendo, globalmente l’esibizione è stata molto piacevole e, per utilizzare anche un termine musicale, maestosa.

Passiamo quindi al secondo argomento della recensione: il pubblico.
Mi sono trovato quasi in imbarazzo quando ho constatato di essere uno dei pochi giovani presenti in sala. Mi sentivo una macchia di colore in mezzo a tante teste candide. Un concerto di questo calibro non è all’ordine del giorno, soprattutto nella città di Pordenone, e per di più quando ospita artisti internazionali e direttori che hanno fatto parte di alcune tra le più importanti orchestre e filarmoniche al mondo come quella di Bruxelles e di Parigi.
Capisco che non sia alla moda andare a teatro, e che erroneamente sia considerato un ambiente per persone colte e facoltose, ma ricordatevi che la differenza fra il teatro ed un cinema, ad esempio, è che il teatro si vive mentre il cinema si guarda, ed eventi simili non andrebbero trascurati, né dai singoli ragazzi né tantomeno dalle scuole, perché è luogo di confronto, in cui si può anche imparare, come me, quando la vicina di posto, sulla settantina per essere gentile, mi ha suggerito di chiudere gli occhi per capire Debussy, è forse l’ultimo nostalgico posto dove avere incontri intergenerazionali produttivi al di fuori della scuola. Perciò invito i giovani a provare almeno una volta a sedersi in sala e a provare l’emozioni di uno spettacolo del genere, e se siete adulti a portare i vostri figli a teatro per farglielo conoscere e amare.

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