7 stravaganti musicisti salgono sul palco, la presenza del Maestro Jordi Savall è imponente ma è in grado, con la sua serietà e impassibilità, di mettere tutti a proprio agio…ma come fa?
Finalmente si comincia, gli strumenti suonati paiono sconosciuti al “classico” mondo del teatro; le melodie però non lo sono: quelle note, unite alla straordinaria coralità, riescono a riportare alla mente sensazioni primordiali, come andassero a scavare nel più profondo io umano per estrapolarne i sentimenti più remoti e probabilmente sedimentati da chissà quanto tempo. E se si ascolta Il Maestro nelle sue spiegazioni (in un ottimo italiano) fra un intermezzo e l’altro, se ne ha proprio la conferma: ciò che si ha la fortuna di ascoltare sono musiche popolari tramandate ORALMENTE da molti e moltissimi anni, assurdo da credere; ma questo è possible solo se tali melodie sono innestate in maniera radicale nell’animo dei popoli che le suonano e le tramandano.
Jordi Savall è indubbiamente un grande musicologo e grande conoscitore della vita e delle sue sfaccettature, e le sue parole colpiscono, alcune in modo particolare: prima di presentare una delle sonate afferma che se dovesse chiedere ai suoi colleghi (tutti originari di paesi diversi) la provenienza di questa, ognuno di essi ne reclamerebbe la paternità, e nessuno di loro avrebbe da sentirsi in difetto nel farlo perché, come giustamente ricorda Il Maestro, migliaia di anni fa si era tutti un’unica popolazione, riunita dagli stessi usi e costumi, vivendo in armonia e in simbiosi. Il messaggio che ci vuole mandare è chiaro, allude alla straordinaria potenza unificatrice della musica, di cui purtroppo ci siamo un poco dimenticati, sostituendo questo valore con il disprezzo e gli sguardi sospettosi verso il nostro “vicino di casa”.
Concerti di questo calibro e di questa particolarità non sono affatto all’ordine del giorno e si sente davvero di aver ricevuto un gran bel regalo, sia dal punto di vista musicale, sia (soprattutto) dal punto di vista spirituale.